Cremona nella Grande Guerra

Con il titolo “Cremona e la prima guerra mondiale” l’ANPI ha organizzato, venerdì 22 us nella saletta “Vertova” del Cittanova, un incontro pubblico di approfondimento e di riflessione a cento anni dagli storici eventi del maggio 1915. Patrocinata dal Comune capoluogo e presieduta dal consigliere comunale prof. Rodolfo Bona, la riunione è stata caratterizzata dalle due relazioni di Fabrizio Superti, ricercatore e Sindaco di Persico Dosimo, e di Giuseppe Azzoni, del Direttivo ANPI.“Il mondo contadino e l’agricoltura del nostro territorio durante la guerra del 1915-18” è il tema sviluppato da Superti. Egli ha sottolineato come il mondo contadino sia stato quello che ha di gran lunga maggiormente sopportato il peso tremendo della guerra. Ha quindi allargato lo sguardo al complesso dell’economia agricola della nostra provincia e ha delineato precisi contorni di quanto vi accadde negli anni della grande guerra. Durante il conflitto diventano decisivi gli ostacoli agli scambi di merci con l’estero. L’Italia era importatrice di grano, il grano è decisivo per la sopravvivenza della nazione e del suo esercito. Deve rafforzare la propria produzione e lo fa a scapito di quella foraggera e quindi della zootecnia. Inoltre la carenza induce prezzi sempre più alti per grano e granturco. Ciò provoca fenomeni gravi di scarsa alimentazione, a partire dal pane per giungere alla carne, per i ceti popolari e di gigantesche speculazioni da parte di chi produce e detiene grano ed altre vettovaglie. Il governo decreta misure di diverso genere contro il mercato nero (che mette in difficoltà anche direttamente il Paese in guerra) con sanzioni e pene assai dure, ma prevalgono gli appetiti di profitti così rilevanti su decreti che paiono grida manzoniane inefficaci. Le statistiche riveleranno apparenti contraddizioni, come un calo consistente della produzione di grano e un forte aumento di depositi bancari da parte dei produttori. È evidente che una parte del grano non appare più nelle statistiche, è sottratto alle denunce obbligatorie ed è venduto ad altissimo prezzo non calmierato al mercato nero.
Comunque si registrano in questi anni casi di arricchimento rapido e forte, in contrasto con l’immiserirsi della generalità della popolazione. Leva e richiamo alle armi generalizzati per molte classi di età svuotano dei maschi adulti i nostri paesi di campagna (un po’ meno i centri con industrie essendo più difficilmente sostituibili le mansioni operaie). Le famiglie dei salariati “obbligati” (fissi) riescono a mantenere un minimo di reddito in quanto il lavoro degli uomini sotto le armi, per contratto ed accordi rivendicati dai sindacati, deve essere dato a famigliari (le donne si rivelano indispensabili col loro doppio lavoro famigliare e in campagna) e così l’abitazione in cascina. I salariati giornalieri invece non hanno alcuna tutela e spesso la loro famiglia rimane allo sbaraglio. L’assistenza alle famiglie dei salariati avventizi richiamati sarà un gravissimo problema. Frequenti sono le campagne di massicce acquisizioni obbligate di vettovaglie ed animali da parte dell’esercito, pagati a prezzi fissati dal governo. Anche qui sorgono risvolti negativi per la scarsità di quanto rimane per la popolazione ma anche guadagni per chi riesce a vendere per esempio animali scadenti che avrebbero un valore di mercato assai inferiore. La guerra d’altra parte incentiverà a produrre di più con nuove tecniche agronomiche e con una meccanizzazione costosa ma assai efficace: vi vengono investite parti dei profitti di cui sopra, chi li detiene e li utilizza bene acquista una posizione di predominio nelle nostre campagne. In genere si tratta di affittuari di grandi aziende con cascine ed estesi fertili terreni, anche se per loro aumentano gli affitti. Durante la guerra Cremona esporta in altre zone, legalmente o in nero, produzioni che sono letteralmente oro: dai cereali ai latticini ecc. Da qui un notevole peso anche politico.

Giuseppe Azzoni ha delineato le caratteristiche del neutralismo e dell’interventismo nel cremonese.
In effetti Cremona fu in proposito un osservatorio straordinario, ben al di là delle sue limitate dimensioni. Sia dell’una che dell’altra corrente furono protagonisti personalità al massimo livello politico. Campioni di chi sostenne l’entrata dell’Italia in guerra, dalla parte della Triplice Intesa, furono infatti Leonida Bissolati, socialriformista che sarà ministro senza portafogli (per i rapporti tra governo e militari) dal 1916 ed Ettore Sacchi, radicale ed anch’egli ministro nell’importantissimo dicastero della Giustizia. Gruppo di punta di questo schieramento era quello che si raccoglieva attorno al settimanale “La Squilla” che si definiva giornale dei circoli socialisti autonomi e si distingueva per una lotta senza quartiere contro il Partito Socialista e contro i cattolici di Guido Miglioli: in questo gruppo si fece strada Roberto Farinacci.
Il neutralismo cremonese ebbe alla testa personalità del calibro di Guido Miglioli, capo nazionale della corrente cattolica più intransigente per la pace tanto che fu l’unico cattolico a votare contro, insieme al PSI, il governo Salandra che si ripresentava per dare il via all’ingresso dell’Italia nella guerra nel maggio 1915. E del calibro del segretario nazionale del PSI, Costantino Lazzari (nativo di Casalbuttano), neutralista coerente, tanto da scontare il carcere. Lazzari, messo in grave difficoltà dalle posizioni dei socialisti tedeschi e francesi schieratisi per i crediti di guerra dei rispettivi Paesi, lanciò la parola d’ordine “né aderire né sabotare” con la quale i socialisti continuarono la battaglia politica per la pace senza prestare il fianco ad accuse di tradimento alla nazione in guerra e così via. A Cremona interpretarono concretamente questa linea giovani socialisti come Tarquinio Pozzoli (che sarà poi Sindaco) e Dante Bernamonti (futuro Costituente) che sconteranno il penitenziario per antimilitarismo ed amministratori e dirigenti come Attilio Botti, sindaco, Attilio Boldori, Garibotti, Caporali impegnatissimi in campo sociale, politico ed amministrativo. Una parte dell’interventismo, a Cremona proprio quello di Farinacci, dette poi vita al Fascismo. Andati al potere rinnegarono le finalità che avevano proclamate come sacre, patriottiche e degne del martirio di centinaia di migliaia di caduti: battere il prepotere dei tedeschi, far prevalere il diritto dei popoli e la democrazia (così scriveva “La Squilla”), liberare i territori “irredenti” da Trento all’Istria che proprio la RSI nel 1943 ridarà alla Germania (per fortuna poi sconfitta).

Alle relazioni sono seguiti diversi interventi e domande.

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