L’epurazione (dal tribunale del CLN all’amnistia)

Quel 1946 della Repubblica e della Costituente: a Cremona settanta anni fa (2)

Giuseppe Tamburrano, in un sintetico saggio contenuto nel 13° volume della “Storia parlamentare e politica dell’Italia”, parla del problema della giustizia e delle sanzioni nei confronti del fascismo, descrivendo i contradditori passaggi e gli insoddisfacenti esiti di un processo “terribilmente complicato”. Man mano che i territori si liberavano dall’occupazione tedesca ci fu il “rito sommario” dei Tribunali straordinari del CLN, erano gli ultimi giorni di guerra e furono giustiziati, a partire dal duce, i fascisti della RSI giudicati con procedure straordinarie come colpevoli di gravissime colpe. Subito dopo subentrò una normalizzazione. Il Governo Militare Alleato ed un decreto del Governo Bonomi stabilirono le procedure particolari relative ai “reati fascisti”. Vi furono processi con cui si applicarono pene anche molto severe e sviluppi successivi che le attenuarono o annullarono. Si tentò una epurazione, nelle amministrazioni pubbliche ed altri enti, che in teoria doveva vagliare un’infinità di soggetti e che si incagliò fin dall’inizio. I CLN persero potere. Il clima politico cominciò presto a cambiare. La magistratura ordinaria riprese le proprie funzioni ma essa era ancora in gran parte quella degli anni precedenti.L’amnistia del giugno 1946 intendeva rappacificare una nazione urgentemente bisognevole di operare per uscire dal disastro. Quindi usare clemenza verso i fascisti non colpevoli dei delitti più gravi, per colpire con severità i maggiori responsabili. Le espressioni scritte nel testo a questo fine furono però forzate nei tribunali in modo tale da portare ad un vero e proprio “colpo di spugna”. Per quanto riguarda l’epurazione, Tamburrano ricorda che Pietro Nenni, allora Ministro con De Gasperi e Togliatti, scrisse nel suo diario che essa era “fallita”.
Ed ecco, per l’essenziale, come tutto ciò si sviluppò nella nostra provincia.
A Cremona ed a Crema i legittimi Tribunali Militari Speciali dei rispettivi CLN sentenziarono alcune condanne capitali. I fascisti fucilati furono 13 a Cremona (il 30.4 e 1.5.1945) e 4 a Crema (il 29.4.1945). Gerarchi cremonesi furono presi, sommariamente giudicati e fucilati in altre province: Roberto Farinacci a Vimercate, Angelo Milanesi a Bergamo, Nino Mori a Bresso… Circa venti fascisti vennero uccisi da ignoti in diverse località. Il clima era arroventato da vicende tragiche che avevano colpito tanta gente. Il CLN di Cremona emanò direttive ed operò per impedire vendette e delitti e perché la sacrosanta giustizia avesse luogo nella legittimità. In breve tempo i fatti più gravi cessarono.
Sciolto il Tribunale Militare Speciale (che si era riunito solo una volta), venne subito istituita, come in tutti i capoluoghi di provincia, la “Corte d’assise straordinaria” per la punizione dei “reati fascisti” a partire dalla “collaborazione col tedesco invasore”. Essa era presieduta da un magistrato, così come un magistrato era Pubblico Ministero, ed aveva 4 giudici popolari scelti dal Presidente in una rosa proposta dal CLN. C’erano gli avvocati della difesa e possibili testi a carico o a favore dell’imputato, le udienze erano pubbliche.
Sotto la direzione del Questore, che emanava i relativi mandati, venivano arrestati i fascisti indiziati per il tipo di reati previsti nel Decreto 27.7.1944. Ad operare gli arresti erano, nelle settimane successive alla Liberazione, i patrioti a ciò incaricati dalla stessa Questura. Gli arrestati di tutta la provincia vennero concentrati e custoditi nella ex caserma “Paolini” di Cremona (vasto complesso, oggi sostituito da Istituti scolastici, tra via Palestro e viale Trento e Trieste). I loro nomi venivano pubblicati dal quotidiano “Fronte Democratico” ed i cittadini potevano presentare testimonianze documentate sulle loro responsabilità. Questi arresti durarono un paio di mesi, fino al luglio 1945. I nominativi pubblicati furono circa 600. A questi se ne affiancarono altri 700 “delle forze armate della RSI” arresisi o catturati. Per i primi 600 una Commissione, di cui faceva parte un magistrato, interrogava l’accusato e vagliava le accuse quindi procedeva o alla scarcerazione “in mancanza di colpe di sufficiente gravità specifiche e controllabili” o al deferimento alla Corte d’assise straordinaria per il processo. Invece i 700 delle forze armate repubblichine vennero giudicati da una Commissione Militare speciale ed in massima parte presto rilasciati “in mancanza di accuse specifiche e personali”.
I processi della Corte d’assise straordinaria iniziarono il 31 maggio 1945 e terminarono un anno dopo, nel maggio 1946, quando queste Corti vennero sciolte. Si tennero oltre 50 sedute, gli imputati furono circa 180. Vennero giudicati reati quali le uccisioni di partigiani al di fuori di azioni a fuoco in guerra, le sevizie di Villa Merli, le deportazioni nei lager tedeschi, i rastrellamenti di giovani renitenti, delazioni e spionaggio per i tedeschi e per l’UPI, lo zelante collaborazionismo coi tedeschi, le sopraffazioni e le violenze specie del periodo della RSI. Furono sentenziate 4 pene di morte, non eseguite ma commutate in ergastolo: Pietro Politi, Giovanni Agnesi, Rino Puerari, Enzo D’Ippolito. Diverse le condanne al carcere anche per molti anni. Dopo di che ricorsi e sentenze d’appello e l’amnistia di fine giugno 1946 porteranno a riduzioni molto consistenti di tali pene o al loro azzeramento. Interpretazioni giudiziarie assai benevole della già magnanima amnistia, in un clima sempre più condizionato dai prodromi della guerra fredda (cui si aggiunsero facili fughe e latitanze) faranno sì che, a Cremona come in Italia, i fascisti… se la cavarono con poco (anche se, ancora oggi, essi perdurano in lamentele vittimistiche senza che nemmeno li sfiori un paragone con quanto già era accaduto e con quanto sarebbe accaduto agli antifascisti se avessero vinto i tedeschi!).
Similmente andarono le cose per la parallela vicenda della “epurazione”.
Sin dallo sbarco in Sicilia, nel 1943, gli Alleati avevano disposto la rimozione degli elementi fascisti nelle pubbliche amministrazioni e, per particolari responsabilità, in diversi altri casi. E ciò venne ribadito dal governo italiano successivo a Badoglio. Subito dopo la Liberazione si creò anche a Cremona la “Commissione provinciale per l’epurazione”. Vi erano soggetti i fascisti che avevano fatto carriera per merito del partito, chi aveva operato “con arbitraria faziosità”, in modo discriminatorio, traendo lucro e profittando della carica, chi collaborò coi tedeschi andando oltre quanto erano obbligati a fare ecc. Gli elementi individuati come passibili di epurazione (ed in quanto tali elencati sul giornale per possibili esposti di cittadini nei loro confronti) furono circa 600 per tutta la provincia. In attesa del giudizio essi rimanevano a piede libero ma sospesi dal lavoro mantenendo “uno stipendio a titolo alimentare” con riserva del posto. Un rapido lavoro istruttorio per il deferimento alla suddetta Commissione provinciale si svolse nelle varie amministrazioni tra luglio e ottobre 1945. Il passaggio dalla sospensione al licenziamento era soggetto a supervisione dell’Autorità di occupazione.
Nelle udienze della Commissione imperversò la universale giustificazione di aver agito per ordine di chi stava sopra, a partire da Farinacci in persona, per arrivare ai vari gerarchi, preferibilmente se erano morti o fuori portata. L’iscrizione obbligatoria al fascio, le leggi ed i regolamenti del regime, la costrizione dei tedeschi erano invocati come cose che nessuno degli accusati aveva voluto ed alle quali tutti avevano dovuto assoggettarsi per forza o almeno… di malavoglia. Non pochi poterono anche mostrare di avere in qualche modo aiutato gente perseguita o la Resistenza. D’altra parte ormai pare che facesse comodo a molti che certi apparati di potere tali rimanessero. E così per tutto il 1946 imperversarono roventi polemiche sull’argomento della mancata epurazione.
Il giornale del 29 gennaio 1947 pubblicò la statistica dei casi esaminati dalla Commissione provinciale. Vi erano state deferite 437 persone. Per 78 di loro si ritenne che non vi fosse luogo a procedere. Per 298 fu sentenziato il proscioglimento: in tutto 376 sospesi rientrarono nei loro posti. Gli altri 61 furono licenziati ma, in applicazione di condono o vincendo ricorsi, anche non pochi di loro rientrarono.

Sull’argomento di questa nota il settimanale Mondo Padano pubblica un mia ricerca in tre puntate a partire dal numero di venerdi 5 febbraio 2016.

(Giuseppe Azzoni)

*

1 – 1946: Una ANPI prestigiosa, unita ed attiva

Commenti chiusi.