Fascismo a Cremona e nella sua provincia

Il Comune di Cremona, nell’anno in cui ha dedicato molte iniziative culturali alla Cremona del ‘900, ha promosso un incontro sugli anni del regime fascista. Lo ha fatto, insieme ad ANPI, ANPC ed ANDA, dando la parola ad alcuni degli autori dell’ampia gamma di ricerche sul tema pubblicata qualche tempo fa dall’ANPI cremonese nel volume “Fascismo a Cremona e nella sua provincia”.
L’incontro si è tenuto sabato 5 maggio nella sala Quadri municipale ed è stato introdotto dal Sindaco Gianluca Galimberti che, nell’occasione, ha ricordato Mario Coppetti invitando ad un minuto di silenzio per onorare uno dei protagonisti anche di quegli anni.

La prima delle brevi ma dense relazioni è stata svolta da Evelino Abeni. Egli ha trattato dei più importanti eventi culturali e popolari che durante il regime si sono svolti a Cremona sotto l’egida in primis di Roberto Farinacci. In particolare le stagioni del Ponchielli e la lirica in piazza, e poi Monteverdi, Stradivari e la liuteria che furono al centro di iniziative di livello nazionale. Abeni ha messo bene in luce le due facce di questa medaglia: da una parte (non badando a spese al punto da ridurre poi alla paralisi il teatro) il livello artistico ed anche spettacolare di questi eventi, con artisti di prima grandezza ed illustri personalità. Dall’altra l’utilizzo propagandistico di tutto questo a fini di popolarità tra i cremonesi e strumentalmente per guadagnare prestigio nella “gara” tra gerarchi e ras all’epoca particolarmente acuta. Vennero così a Cremona cantanti come Beniamino Gigli, Tancredi Pasero, Gianna Cigna, direttori come Tullio Serafin e così via. Roberto Farinacci pur non vantando particolari competenze musicali e teatrali si fece eleggere presidente del condominio del teatro Ponchielli e della direzione artistica e potè imporre le proprie scelte (e in qualche caso le proprie discriminazioni come nel caso Vertua) ai propri fini.

Michele De Crecchio ha ripreso il tema del “piccone risanatore”. I pesantissimi, stravolgenti interventi sul tessuto del centro storico coi modi, i fini, i protagonisti, i risultati che ebbero. Ogni domenica mattina il ras del fascio cremonese riuniva nel proprio ufficio uomini determinanti della nostra economia e lì si facevano le scelte che poi venivano portate avanti. Nel campo edilizio si decideva come procurarsi i capitali (usando anche la politica) per importanti e lucrosi investimenti, si espropriava in modo anche pesante e si demolivano ampie parti storiche cambiando il volto della città. Vi si costruiva badando da una parte agli affari dall’altra ad una stucchevole retorica. Questo, come è noto avvenne soprattutto al centro di Cremona. Braccio destro, progettista e manager fu l’ing. Mori. De Crecchio ha fornito numerosi esempi di sventramenti irrispettosi dell’arte e della storia e di banali anche se in genere profittevoli costruzioni. Poche le eccezioni, progettate da altre personalità e di pregio: Palazzo dell’arte, le colonie padane, la chiesa di S.Ambrogio, l’edificio della Baldesio.

Un tema essenziale e molto complesso è quello trattato da Franco Verdi nel terzo intervento: il dipanarsi di un vero e proprio “confronto” tra il Palazzo Vescovile del clero e del Vescovo Cazzani ed il cosiddetto Palazzo della Rivoluzione del PNF e di Farinacci. Con relative obbligata convivenza e conflittualità aperta o latente e vicende con cui si sono esplicate. Verdi ha illustrato come la cultura e la religiosità del Vescovo fossero del tutto estranee alle idee, alla pratica ed alle politiche del fascismo in generale e di Farinacci in particolare. Una estraneità che si manifestava in permanenza nella stampa cattolica provinciale (spesso censurata ed attaccata), nella difesa dei parroci invisi al regime, nell’impegno per sottrarre i giovani all’influenza dell’ideologia fascista bellicista e vuota di valori. Verdi ha passato in rassegna alcuni momenti in cui la distanza e la conflittualità furono assai rilevanti: la non presenza all’insediamento delle autorità locali “elette” coi metodi squadristi nel 1923; lo scontro vero e proprio avverso allo scioglimento dei circoli dei giovani di Azione Cattolica nel 1931; le polemiche relative alla guerra; l’iniziativa di mediazione volta ad evitare distruzioni dei tedeschi nei giorni della Liberazione con la resa al CLN e la possibilità di allontanarsi.

Infine Giuseppe Azzoni ha raccontato alcune vicende che ci fanno considerare come fosse artificiosa e propagandistica l’immagine di sé che pure il fascismo anche nella nostra provincia riuscì a dare di sé. Una immagine di assoluta compattezza del gruppo dirigente e del PNF, di soddisfazione per le proprie condizioni e consenso popolare in particolare nelle campagne, e quindi di dissensi rarefatti nella popolazione. Tre le vicende riprese da Azzoni, all’epoca taciute, minimizzate o distorte dalla informazione unica e manipolata del regime. La prima relativa al dissenso interno al PNF cremonese, coi dissidenti Cesare Balestreri e Giulio Orefici sbaragliati nel 1928, con i loro non pochi seguaci, con grotteschi pretesti. La seconda con la forte protesta contadina contro il patto colonico provinciale del 1935 cui si contrappose un imbarazzante supposto migliore “patto del duce”; vicenda che mise in luce miseria e malcontento tra i lavoratori. La terza: l’ampiezza dell’apparato repressivo che operò in tutti quegli anni, con metodi di ogni genere, per tenere sotto controllo una situazione che non era così tranquilla come si voleva far credere. Tra i diversi momenti in cui ciò si evidenziò Azzoni ha scelto la retata che ha interrotto il possibile formarsi di un nucleo cremonese di Giustizia e Libertà nel 1937. Una retata resa possibile da uno dei tanti modi con cui si attivava il pletorico apparato poliziesco del Regime: la “riservata revisione postale”. Veniva di nascosto letta la corrispondenza di molti soggetti traendone nomi e informazioni. In questo caso lettere ed indirizzi usati in modo incauto da un cremonese antifascista che era riparato a Parigi furono usati per giungere a 35 fermi ed arresti nella nostra città. E questo era solo uno dei mezzi usati per controllare una situazione di temuto ampio dissenso, evidenziato anche dal numero dei fascicoli dedicati ai “sovversivi” controllati dalla nostra questura che erano quasi 3.000.

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