Türe zu

Alvaro Papetti, «Türe zu. San Daniele Po negli anni della guerra del Duce» (Cremonabooks, 2006)
Presentazione nella Sala della Biblioteca di S. Daniele Po, 29 settembre 2006

Le “vicende” di Paese rappresentano una risorsa culturale e umana per tutta la provincia, un arricchimento particolare, che si colloca in quegli “annali della vita” destinati a fare Storia, sia pure in tempi di profonde e rapide trasformazioni, sempre alla ricerca di cose nuove e capaci di meravigliare.
Così, le “pagine scritte” di Alvaro Papetti, che ci danno l’immagine di S. Daniele Po “negli anni della guerra del Duce”, non appartengono soltanto ad una comunità, vivace e culturalmente attiva, ma sono un patrimonio comune, nell’analisi di quell’eterno mondo delle radici che rendono inconfondibile il nostro territorio.
La guerra, con le sue tragiche devastazioni di ambienti di vita e di esistenze, non riduce l’intensità di vita di un Paese, che dalle sponde del Po ha potuto assistere, da vicino, agli ultimi momenti della guerra, su su fino alle stagioni della ripresa democratica, non dimenticando il passato, ma aprendosi, generosamente, al futuro che occorreva costruire.
Riteniamo utile – soprattutto per le nuove generazioni e, quindi, per la Scuola – far conoscere quanto dall’Autore è appassionatamente narrato, per ricordare, a tutti, che la Storia è la sintesi di tanti capitoli, a volte scritti da umili protagonisti, ma pur sempre simboli dell’eterna fatica umana, nel suo incedere verso traguardi migliori.
Piace che sia un “uomo di Scuola” a narrare queste storie, per dimostrare, ancora una volta, che nelle nostre aule, spesso, lo sguardo si estende a cogliere quel mondo che ha dato voce ad ambienti che ci appartengono, proprio come chiedeva il migliore processo educativo, dai tempi della riforma della Scuola Media, quando ogni territorio diventava, per volontà dei suoi docenti, centro di studi e di meditazioni: dall’ambiente di vita ai luoghi ufficiali del cammino secolare, con l’intento di costruire, sempre, un percorso di vita che ormai è nostro.
I giovani, poi, debbono conoscere la Storia che ci ha immediatamente preceduti, nel dramma collettivo dell’inquieto Novecento, vale a dire la seconda guerra mondiale, con la speranza che una lunga età di pace e di prosperità abbia ad accompagnare i nostri tempi.
Anche per queste ragioni il lavoro di Alvaro Papetti merita attenzione e rispetto, mentre lo accompagna un nostro sentimento di gratitudine per l’impegno profuso, con l’idea di non far mai morire la Storia.
on. Giuseppe Torchio – Presidente della Provincia di Cremona
Denis Spingardi – Assessore Provinciale alla Cultura

Il sentirsi parte di una gente…
Angelo Rescaglio
Chissà perché, leggendo attentamente le pagine di “Türe zu”, nella logica tutta cassoliana del racconto che si fa, capitolo per capitolo, con il ricordo ho recuperato l’inizio di “Noi del Boscaccio” di Giovannino Guareschi, il Narratore che ci ha aiutato a capire le “piccole storie” nei loro segreti messaggi: “Il fiume scorre placido e indifferente nella pianura e, tra il fiume e i paesi, c’è l’argine: perciò le case non si specchiano nell’acqua, ma le storie d’ogni paese scavalcano l’argine e il fiume tutte le convoglia: storie buffe e storie malinconiche, e se le porta via verso il gran mare della storia del mondo. E, durante il viaggio, le racconta a chi si siede in riva all’acqua ad ascoltare le chiacchiere del fiume: robaccia che par cascata giù dalla pagina di cronaca dei giornali, o robetta che pare scivolata via dalle pagine dei vecchi libri di lettura. Il fiume scorre placido e indifferente e racconta…”.
Anche la terra dell’Autore – il prof. Alvaro Papetti, figlio della mia stessa generazione, uniti pure nell’essere uomini di Scuola, dopo avere vissuto intensamente nelle sterminate campagne di San Daniele Po – corre lungo un argine maestro, che la separa dal “grande fiume”, che tante storie ha conosciuto, piccole e grandi, ma pur sempre segnate da un forte sentimento di “comunità”, con uomini mai abbandonati al loro destino.
L’amicizia con l’appassionato interprete di queste “vicende”, dal cuore grande e nutrite di una intensa umanità, può rendere difficile un giudizio, perché legittimamente influenzato da tante cose; d’altra parte, mi conforta un costante impegno, nel corso di tanti anni, nel “leggere” e nel “meditare” le riflessioni di altri, al pari di me attenti a seguire le vicende degli uomini, nella loro accanita volontà, spesso, di segnare, in qualche modo, il tempo che è nostro… E allora non temo di affermare che, qui, Alvaro Papetti recupera, in quell’italiano che appartiene alla migliore educazione umanistica, tanti momenti della vita di Paese – per noi sempre con la maiuscola, perché è il nostro Paese, in una felice capacità di elevare il discorso quotidiano in una dimensione più generale, proprio come incontreremo nei capitoli del romanzo “La Storia” di Elsa Morante, che tanto ci entusiasmò, in una stagione non ricca sul piano letterario: così il discorso si fa, spesso, avventura dell’umano, mentre i gesti e le parole di tanti “poveri cristi” ci conducono a riflettere seriamente su ciò che è la vita, con le sue segrete verità, che, autenticamente, spesso, sfuggono ai più colti, per diventare patrimonio di gente comune, che non teme di apparire nella sua autenticità.
Lo spaccato della “storia”, ampiamente presentata (e credo che il primo a sorriderne, in diverse pagine, sia il Narratore stesso, con la sua impeccabile capacità di fotografare stili di vita e modi di presentarsi…) e ricollegata, là dove era possibile, ad un percorso più generale (ed era la realtà di un’Italia in guerra, in un clima di libertà condizionata, con tante tragedie in atto…), appare circoscritto – gli anni appunto della guerra del Duce – e limitato ad un piccolo lembo di provincia, San Daniele Po; però, diventa il tutto “Provincia dell’Uomo”, indimenticabile titolo di pagine di diario di Elias Canetti, un Nobel tra i più amati dagli intellettuali della mia età. Mi piace pensare all’Uomo e al suo eterno destino, accanto a questi Capitoli, dal primo “di carattere storico generale” all’ultimo di avvio faticoso della vita di Comunità in un rinnovato clima di partecipazione democratica (si dice “La vita in paese tornava intanto ad una normalità che sembrava ormai dimenticata o addirittura mai conosciuta…”).
Di tanti in tanto, emerge un tono sottilmente umoristico, per meglio evidenziare la dimensione contenutistica, la forza del racconto, senza alcuna volontà di demolire, perché, in queste pagine, i personaggi sono pure parte della tua storia, con tè hanno vissuto, nel bene e nel male, in una immagine di Comunità aperta, dove certo – come era caro ancora a Elsa Morante – può apparire la divisione in “felici pochi” e “infelici molti”: tutti, però, portatori di qualche cosa che ha dato significato alla vita in comune.
Allora, si può ben capire – in certi spaccati narrativi – la simpatia dell’Autore per gli “umili” di questo mondo che gli appartiene: anch’essi hanno lasciato un segno, per cui i “Ciòta” di qui, sperduti tra i silenzi delle rive del Po, sembrano assomigliare ai Paulin di Davide Lajolo, a tutti i personaggi “con eguale misura di lagrime” di morantiana memoria, ai Pidràn del racconto mazzolariano, ai Giaròn delle cronache guareschiane. E per ognuno c’è un ricordo e un sorriso, così che anche la guerra, con le sue immani tragedie, si umanizza un poco (come, del resto, è stato per le pagine indimenticabili di Mario Rigoni Stern).