Nei Comuni si torna a libere elezioni (è anche il primo voto per le donne)

Quel 1946 della Repubblica e della Costituente: a Cremona settanta anni fa (3)

Per vent’anni il regime fascista aveva cancellato il diritto per i cittadini di eleggere i propri amministratori comunali. Eliminati sindaco, giunta e consiglio, alla testa del comune veniva nominato dal prefetto un “podestà” gradito al fascio. Il Comune perdeva la propria autonomia e con essa diverse competenze e risorse. Il podestà eseguiva le direttive prefettizie in generale e gestiva (col bastone e la carota a suo piacimento) le minori incombenze locali.
Subito dopo la Liberazione la figura istituzionale del podestà sparì, in ogni comune il CLN locale nominò il sindaco e la giunta. Questi ressero situazioni con grandissimi problemi ed amministrarono gli essenziali servizi locali per diversi mesi.Ripristinate le regole elettorali democratiche, nel 1946 le popolazioni tornarono a votare per eleggere i consigli comunali. Toccava poi ai consiglieri comunali, formate le maggioranze derivanti dal voto, designare il sindaco e gli assessori. Per i comuni della nostra provincia le elezioni avvennero a turni in diverse domeniche. 79 comuni votarono in cinque domeniche tra il 10 marzo e il 7 aprile, i rimanenti votarono nell’ottobre successivo. Nel comune capoluogo si votò il 24 marzo.
Per la prima volta le donne poterono votare ed essere elette: fatto di portata storica che in Italia si attuava con grandissimo ritardo e per merito della lotta di Liberazione. Ci ripromettiamo di parlarne nello specifico in un prossimo articolo.
Nella primavera del ’46 non si era ancora nel clima politico di aspra contrapposizione che caratterizzerà il periodo successivo. Con la guerra fredda ed incipienti dure lotte sociali si iniziava però a vedere lo schierarsi su fronti contrapposti le forze che si erano unite nei CLN. Reggono ancora i rapporti interpersonali, sentimenti comuni, volontà di collaborazione in molti di coloro che hanno lottato fianco a fianco nella Resistenza. La stessa ANPI rappresentava ancora tutte le correnti. Ma si fanno già strada, e man mano prevarranno, idee e programmi diversi su come affrontare i problemi e, con forza dirompente, il netto collocarsi su fronti contrapposti relativamente all’avanzare sia della guerra fredda sia dello scontro sociale. A Cremona in particolare relativamente a quello tra salariati e padronato nelle campagne. In questo quadro già nelle prime elezioni amministrative si pone la sfida tra la sinistra, con i partiti socialista e comunista uniti da un patto unitario e nei comuni minori con unica lista di candidati, ed il centro rappresentato dalla Democrazia Cristiana con l’esplicito appoggio del clero.
Quel primo voto vide nella nostra provincia il netto prevalere della sinistra. Sui 110 comuni che votarono nel corso del 1946 la sinistra risultò maggioritaria in 75, compreso i centri maggiori: Cremona, Crema (con una più ampia alleanza laica – repubblicana), Casalmaggiore e Soresina. Nell’alleanza tra i due partiti prevaleva la componente socialista.
Nel consiglio comunale di Cremona furono eletti 14 socialisti (con 13.210 voti), 14 democristiani (con 13.016 voti), 9 comunisti (9.177 voti), 1 repubblicano (1.393 voti), 1 monarchico (1.377 voti) e un liberale (con 1.218 voti). Molti degli eletti erano stati tra i protagonisti della Resistenza e dell’antifascismo come, per citarne solo alcuni, Rossini, Calatroni, Caporali, Verzeletti, Rizzi, Formis, Bernamonti, Gaeta, Cortese, Dotti…
Luigi Rossini, socialista, è stato il primo sindaco eletto di Cremona del dopoguerra (il precedente sindaco Calatroni era stato nominato dal CLN nei giorni stessi della Liberazione). A Soresina venne eletto il comunista e partigiano Piero Borelli (in quel frangente era il più giovane sindaco d’Italia, avendo solo 22 anni).
Per quelle elezioni il Comitato provinciale di coordinamento tra socialisti e comunisti aveva fissato alcuni criteri per i programmi amministrativi e per le candidature. Ancora oggi essi colpiscono per l’aderenza ai problemi concreti ed al linguaggio stesso della gente, senza nulla concedere al facile qualunquismo. Ci si basa sulla assoluta necessità di sentire dal vivo le esigenze dei cittadini dei vari comuni con assemblee popolari, che si tennero dappertutto con grande partecipazione. Si prescrive che i problemi che ne emergeranno vengano organizzati in programmi improntati a “buon senso, realismo e concretezza, senza promesse che non si possono realizzare”. I candidati, in massima parte espressione diretta dei ceti popolari, dovranno caratterizzarsi oltre che per l’impegno e la capacità di fronte ai problemi da risolvere, per l’onestà e la dimostrata adesione ai valori dell’antifascismo e della giustizia sociale.
Con questa impostazione una vera e propria leva di cittadini, in gran parte di umile estrazione sociale, prendono le redini dei Comuni quando su questi enti, più ancora che su organi governativi, impattano enormi, drammatici problemi. Ne citiamo solo alcuni. Bisogna procurare derrate alimentari, c’è un problema vero e proprio di assicurare da mangiare, si deve anche disporre e controllare l’ammasso dei cereali e la fornitura di latte per i bambini. Incombono le esigenze abitative anche minime, quelle di riscaldarsi d’inverno e quindi della disponibilità di legna da ardere. La disoccupazione è forte, bisogna promuovere lavori pubblici sia perché necessari sia per dare un po’ di lavoro, ma mancano risorse e bisogna procurarle. Malattie, medici, igiene sono temi di competenza comunale. Così asili e scuole… Ma si potrebbe continuare a lungo.
Nelle carte comunali dell’epoca abbiamo traccia, anche se magari pallida e burocratica, di come quegli amministratori seppero far fronte con vera e propria abnegazione, con grande dignità ed onestà a tutto ciò.
Dal punto di vista politico fu particolare il travaglio che caratterizzò la vicenda del comune capoluogo. La maggioranza di sinistra aprì con la DC un confronto volto a dare continuità alla unitarietà della precedente giunta del CLN. L’obiettivo sarà conseguito, anche se con contraddizioni ed interruzioni. La DC non riterrà di far parte della giunta del sindaco Rossini al suo formarsi. Vi entrerà però un paio di mesi dopo, in agosto, con due assessori. Seguirà, nel novembre 1946, la scissione del Partito socialista: ben 5 consiglieri socialisti ed uno eletto nel PCI aderiranno al PSLI e formeranno un proprio gruppo consiliare. Essi però non mettono in crisi la giunta e non le faranno mancare l’appoggio. Nel luglio 1947 la DC tornerà invece ad uscirne, passando all’opposizione. Nell’autunno del 1948, con la prematura scomparsa del popolarissimo sindaco Rossini, il consiglio elegge sindaco il DC Ottorino Rizzi, gli assessori socialcomunisti però non si dimetteranno e la giunta, in cui torna la componente DC, continuerà ad operare fino alla naturale scadenza del 1951. Tutto ciò si accompagnerà comunque ad una grande e fattiva attività.
(A cura di Giuseppe Azzoni)

1 – 1946: Una ANPI prestigiosa, unita ed attiva

2 – L’epurazione (dal tribunale del CLN all’amnistia)

3 – Nei Comuni si torna a libere elezioni (è anche il primo voto per le donne)

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