Archivio Categoria: storia - Pagina 5

“Il Tribunale del Duce” presentato dall’autore Mimmo Franzinelli

(Nel dibattito anche un intervento sui cremonesi condannati dal Tribunale speciale fascista)

Venerdi 10 marzo un pubblico numeroso ed attento ha assistito alla prima presentazione pubblica, avvenuta presso il Teatro Filo di Cremona (seguiranno altre città e la TVda Augias), del nuovo libro di Mimmo Franzinelli. Dopo gli onori di casa da parte di Mario Mantovani a nome della Società del Filo, organizzatrice nell’ambito della rassegna Filolibri, insieme ad ANPI, ANPC, “Eco del popolo” con Associazione “Zanoni”, l’Autore ha delineato i principali contenuti della sua opera.

“Il Tribunale del Duce” è il primo libro dedicato in modo organico alla storia del Tribunale speciale creato dal fascismo nel 1926 come strumento di repressione del regime contro ogni tipo di opposizione, ivi compresa l’espressione di opinioni. Uno degli attentati a Mussolini è stato preso a pretesto per crearlo, nell’ambito delle “leggi fascistissime”. I giudici non erano nemmeno tali e si rapportavano direttamente col duce per predisporre condanne politiche. Le condanne, al carcere ed al confino, furono moltissime ed il libro ne spiega i modi e le logiche. Continua »

Testimonianza del partigiano Franco Tentoni sull’assistenza sanitaria nella 54a brigata Garibaldi

Nell’estate del 1944 Franco Tentoni, studente del 3° anno di medicina, fu il responsabile dell’assistenza sanitaria ai partigiani ed alla popolazione di Valsaviore. La sua attività, conclusasi forzatamente con l’arresto durante una missione a Bienno il 28 settembre, viene qui riassunta in un memoriale della fine degli anni ’70.
Tentoni conferma, dal suo particolare angolo prospettico, la generale solidarietà della cittadinanza con i partigiani, fattore di tenuta e di sostegno della formazione comandata da Nino Parisi.

La nostra brigata, la 54a Garibaldi, che operava in Valsaviore, aveva due livelli di assistenza medica: uno di base e uno operativo superiore. Quest’ultimo dipendeva dagli alti comandi medici veri e propri visitavano, sia pure ad ampi intervalli di tempo, gli uomini che ne avessero particolare bisogno ed erano in collegamento con medici e farmacisti residenti, talché si riusciva anche a nascondere e portare in luoghi più adatti i feriti gravi (come avvenne per il vice comandante della brigata dopo la mia cattura).  Continua »

Un PCI cremonese motivato e compatto

Quel 1946 della Repubblica e della Costituente (12)

Comunismo e comunisti: l’averli esecrati senza tregua né limite e perseguitati da parte del nazifascismo si trasformò in forza e credibilità ideali e politiche. Anche perché in effetti, negli anni del regime e della resistenza, i comunisti erano apparsi i più tenaci avversari dei fascisti e poi degli occupanti tedeschi. E nel contempo i più decisi a battersi per gli interessi della parte dei lavoratori salariati. Sullo sfondo un enorme prestigio dell’URSS appena uscita vincitrice da una guerra di cui era stata vittima aggredita e nella quale aveva resistito nonostante un numero di vittime senza precedenti nella storia. Una Unione Sovietica con la quale allora il PCI orgogliosamente si identificava. Fatto sta che anche a Cremona (e più che in molte altre province della Lombardia) il partito comunista conosce una crescita impetuosa. Dai 120-150 temerari iscritti clandestini del luglio 1943 si passa ai circa 15.000 iscritti rappresentati dai delegati del congresso provinciale tenutosi nell’ottobre 1945 al Filodrammatici. Ognuno di essi aveva compilato e sottoscritto una adesione con la quale accettava il programma del partito e si impegnava a sostenerlo con l’attività, le quote, le norme disciplinari decise nel Congresso (molti di questi fogli sono ancora conservati con altre carte del PCI locale depositate nell’archivio della Camera del Lavoro). Continua »

“Hasta la victoria, siempre!”

di Ennio Serventi

La notizia ci arrivò con il telegiornale della notte. Quel che fin dal glorioso 1959 si temeva si stava avverando. L’imperialismo americano, insofferente per quella indipendente e libera presenza nel “giardino di casa”, arruolato un esercito attaccava Cuba. Fidel Castro, con un discorso rimasto nella storia, chiamò il popolo della rivoluzione alla difesa.
Noi, da questa parte dell’Atlantico, c’incontrammo al mattino. Discutemmo commentando le notizie provenienti da diverse fonti internazionali, azzardammo ipotesi. Io, nel gruppetto, ero forse il più pessimista:
“Sono forti, vinceranno loro come è sempre stato, rimetteranno a Cuba un nuovo Batista con rum a gogò”, dicevo.
“No!”, ribatteva Mango, “la rivoluzione vincerà ancora, li ributteranno a mare”!
“Dobbiamo aiutarli, fare qualche cosa!” ripeteva Franz. Continua »

La forza, i meriti e il travaglio del PSIUP

(Fonte: Fondazione Nenni)

Quel 1946 della Repubblica e della Costituente (11)

Nel 1946 quello socialista si chiamava Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Questo dal 1943, quando il fuoco incombente della Resistenza aveva indotto ad unificarsi il PSI di Nenni, il MUP (che definirei “proletario luxemburghiano”) di Lelio Basso ed i riformisti di Romita. La continuità, pur con nuova denominazione, col vecchio partito appare simbolicamente evidenziata dal numero d’ordine del Congresso nazionale che si tiene a Firenze nell’aprile 1946: XXIVmo congresso socialista.

In Italia e nella nostra provincia il 1946 vede un PSIUP molto forte, estremamente attivo ed impegnato. Ma anche in preda ad un travaglio interno che – dopo il ricompattamento del 1943 – lo porterà alla scissione socialdemocratica nel gennaio 1947. In questo frangente il partito riprenderà a chiamarsi PSI.

Per sommi capi accenniamo qui a ciascuno di questi tre aspetti del PSIUP cremonese nel 1946, avvalendoci molto della ricca documentazione contenuta nel volume di Enrico Vidali: “Il socialismo di Patecchio”. Continua »

A proposito della famigerata Villa Merli

Lettera al Direttore de La Provincia

Signor Direttore,
vorrei esprimere approvazione e consenso alla scelta del giornale ed al lavoro di Barbara Caffi con la pubblicazione di documenti relativi alla famigerata Villa Merli, sede dell’UPI. Ogni documento e testimonianza è importante, comunque poi ognuno ne valuti i contenuti, per avere memoria il più vicina possibile alla verità storica. Non va certo dimenticata la storia della Repubblica di Salò e dei suoi padroni occupanti tedeschi, con i loro crimini, tra i quali quelli commessi nelle “ville tristi” dell’UPI, una era la villa Merli di Cremona, presenti in ogni città.
Leggo oggi una incredibile lettera di un fascista cremonese sull’argomento: egli minimizza, nega l’evidenza, giustifica, paragona i resistenti antifascisti arrestati e seviziati a Cremona  con terroristi o loro complici, paragona i metodi degli sgherri dell’UPI a quelli della magistratura italiana attuale quando interrogava i sospetti negli anni di piombo. Invito questi negazionisti a leggere i resoconti dei processi, aprile ’46, ai responsabili di Villa Merli per rendersi conto di quella realtà. Basterebbe anche solo la testimonianza diretta della sorella del fucilato Renato Campi quando riferisce che Renato si augurava di morire subito piuttosto di continuare a subire quanto gli stavano facendo (di cui il suo corpo recava tracce eloquenti). Continua »

La DC cremonese 70 anni fa

Quel 1946 della Repubblica e della Costituente (10)

Dedichiamo le ultime tre puntate della rievocazione delle vicende locali nel 70° dell’anno 1946 ai tre maggiori partiti emersi dalla Liberazione.
Democrazia Cristiana, Partito Socialista (all’epoca PSIUP) e Partito Comunista rappresentavano la quasi totalità dell’elettorato. Nella nostra provincia, nelle votazioni del 2 giugno 1946, ebbero circa 200.000 voti su 230.000 votanti, cioè il 90%. La DC ebbe il 36,4 (80.395 voti), il PSIUP il 30,6 (67.646) ed il PCI il 22,7 (50.164 voti). Si consideri che i votanti furono il 94% dell’elettorato, dunque davvero i tre partiti rappresentavano larga parte dei cittadini.
La DC aveva tenuto il suo primo congresso provinciale a pochi mesi dalla Liberazione: ottobre 1945 nel Teatro Ponchielli. C’è una frase, riportata dagli atti dello stesso, che sintetizza come la DC presentò se stessa: “l’unica forza equilibratrice che sia in grado di guidare la Nazione in una sana democrazia, attuando le più ardite riforme sociali e tutelando l’ordine pubblico e la libertà dei cittadini” (v. “La DC cremonese nel periodo degasperiano” di G.Biondi e V. Cantoni). Continua »

“Il pugnale dal manico rotondo”

Dall’uccisione di Sadi Carnot (1894) alla guerra partigiana. L’anonimo ricordo di Jeronimo Sante Caserio
Una nota di Ennio Serventi

Se c’è un tipo di arma che i partigiani non hanno mai vantato di possedere o di avere usato è quella che viene identificata come da “taglio”o da “punta”. Sciabole e baionette, mai amate, erano dell’esercito ed i pugnali della decima MAS. L’arma partigiana per eccellenza, la più ambita, a volte contesa o tragicamente ammirata era il “mitra”, fosse Sten, Skoda o Saint Etienne.
“Il parabellum del legionario era al suo posto sulla tavola rotonda, ancora rivolto ai tre, innocente e tigrino.[…] René non aveva resistito alla tentazione d’ammirarselo da vicino e poi di sfiorarlo con le sue mani proletarie, la raffica era sfuggita come divina” (1).
In una foto partigiana uno specialista del ramo ha potuto riconoscere, imbracciato da un partigiano in bella mostra, addirittura un TZ45, mitra progettato all’Armaguerra di Cremona. IL TZ45 venne costruito, in circa diecimila esemplari, per conto della Repubblica di Salò, nella fabbrica dei fratelli Giandoso a Brescia.
Per il “gappista”, nell’azione ravvicinata, l’arma era il revolver, anche questo provvisto della sua automaticità di sparo.
Non è infrequente che i canti partigiani ripropongano la narrazione di fatti remoti, di forte impatto popolare, ancora emotivamente presenti nella memoria diffusa, migrati fra le generazioni che si sono succedute. La diffusa indipendente trasposizione, in chiave partigiana, dei racconti moltiplica i testi dei canti facendo sì che se ne trovino molti in circolazione e l’ individuazione di una primogenitura risulta difficile. Non dissimili gli uni dagli altri ma, ovviamente, non uguali, i componimenti riproducono, in modo diverso, gli aspetti della narrazione che più hanno coinvolto o stimolato la partecipata sensibilità degli autori. Il diffuso sentito popolare del fatto moltiplica la autonoma trasposizione, nel nostro caso, in versione partigiana, delle storie. Spesso l’impianto generale è comune e rimane inalterato, ma gli interventi, in un senso o nell’altro, ne possono modificare l’orientamento originario. A volte i versi di queste riflettono gli orientamenti politici delle formazioni dalle quali scaturiscono.
C’é un bel canto che ancora si canta, di autore anonimo come lo sono molte canzoni partigiane. Il racconto si svolge davanti a un tribunale, sicuramente nemico e non “terzo”, dove il partigiano accusato, con orgogliosa ammissione, riconosce come suo il pugnale che gli viene mostrato, dichiarandosi autore dell’atto a lui imputato: “sì sì che lo conosco / … / nel cuore del fascista / lo piantai a fondo” (2). Sorprende l’uso di quell’arma non amata e l’esaltazione che si fa nel canto dove ne viene fornita anche una parziale descrizione: “ha il manico rotondo”; quasi una glorificazione della manualità nell’uso di quello strumento arcano, contrapposta alla moderna automaticità del parabellum. Continua »