Un PCI cremonese motivato e compatto

Quel 1946 della Repubblica e della Costituente (12)

Comunismo e comunisti: l’averli esecrati senza tregua né limite e perseguitati da parte del nazifascismo si trasformò in forza e credibilità ideali e politiche. Anche perché in effetti, negli anni del regime e della resistenza, i comunisti erano apparsi i più tenaci avversari dei fascisti e poi degli occupanti tedeschi. E nel contempo i più decisi a battersi per gli interessi della parte dei lavoratori salariati. Sullo sfondo un enorme prestigio dell’URSS appena uscita vincitrice da una guerra di cui era stata vittima aggredita e nella quale aveva resistito nonostante un numero di vittime senza precedenti nella storia. Una Unione Sovietica con la quale allora il PCI orgogliosamente si identificava. Fatto sta che anche a Cremona (e più che in molte altre province della Lombardia) il partito comunista conosce una crescita impetuosa. Dai 120-150 temerari iscritti clandestini del luglio 1943 si passa ai circa 15.000 iscritti rappresentati dai delegati del congresso provinciale tenutosi nell’ottobre 1945 al Filodrammatici. Ognuno di essi aveva compilato e sottoscritto una adesione con la quale accettava il programma del partito e si impegnava a sostenerlo con l’attività, le quote, le norme disciplinari decise nel Congresso (molti di questi fogli sono ancora conservati con altre carte del PCI locale depositate nell’archivio della Camera del Lavoro).Per quanto riguarda il consenso elettorale, il PCI si attesta al terzo posto, dopo la DC ed il PSIUP, come abbiamo documentato in precedenti note di questa serie dedicata al 70° del 1946. Ma è senza dubbio il partito più organizzato, attivo e compatto. Sezioni, cellule, gruppi in ogni quartiere della città e paese della provincia ed in molte cascine e luoghi di lavoro; capillare diffusione de “l’Unità” e della propaganda; solidi e fidati gruppi dirigenti ed attivisti volontari. Compagni che si impegnavano generosamente con sacrifici e spesso pagando di persona nel lavoro e nella carriera. Le iniziative e le attività più svariate erano permanenti. I compagni dovevano essere motore nella costruzione dei sindacati, della cooperazione, delle varie associazioni dell’antifascismo, delle donne, dei giovani e così via.
Il partito appariva compatto strumento per finalità assai sentite, molto organizzato, anche con il formarsi pur tumultuoso di un “apparato” di “rivoluzionari di professione” che lavoravano nella sede delle poste vecchie di piazza Roma. L’ago della bussola dell’orientamento generale punta ai valori derivati dalla Liberazione. La pace, la libertà, la repubblica democratica, la fine del prepotere dei ceti privilegiati, la giustizia sociale e la solidarietà, la punizione dei responsabili delle malefatte del regime. Nella convinzione dell’inevitabile lotta contro le forze di classe avverse e con la prospettiva del maturare di una successiva rivoluzionaria conquista della società socialista. Tra conquiste e sconfitte, illusioni e delusioni, questa forte “spinta propulsiva” si traduceva in obiettivi e programmi concreti. Basilare l’unità delle classi lavoratrici, il cui fulcro era quella con i compagni socialisti. Importante il mantenimento di rapporti positivi con le altre forze antifasciste in continuità con l’esperienza del CLN. Così i rapporti di alleanza con ceti intermedi. Volendo saldamente rappresentare la parte dei ceti popolari, elaborando e rivendicando le loro esigenze. Dalle retribuzioni ai diritti, da maggiori poteri coi consigli di cascina e di fabbrica a radicali riforme in campo sanitario, assistenziale, scolastico… Numerose le declinazioni. Nuovo patto colonico, giusta causa nelle disdette, case per i contadini rese abitabili. Politiche che assicurassero indispensabili risorse ai poteri pubblici democratici esigendole dai ceti più ricchi. Riforma agraria. Assicurare disponibilità delle derrate alimentari ed un controllo sui prezzi combattendo speculazioni e mercato nero di quegli anni di penuria e povertà di massa. Lavoro, con investimenti, imponibile di mano d’opera e lavori pubblici per la ricostruzione e l’ammodernamento: difesa idraulica ed irrigazione, acqua potabile, fognature e rete elettrica, strade e ferrovie, edifici scolastici e case popolari… Quindi una programmazione economica democratica che portasse ad un uso delle risorse umane e finanziarie disponibili in queste direzioni.
Per molti mesi fu drammaticamente prioritaria una azione in favore dei reduci che tornavano in massa dai fronti di guerra e da penosa prigionia. Tornavano privi di mezzi, spesso colpiti nel fisico e nel morale, con precarie prospettive di lavoro e di vita. Il partito voleva dire impegnarsi su tutti questi fronti. E doveva contrastare, cosa tutt’altro che facile, spontanee tendenze all’estremismo ed al settarismo, mettendo in campo tutta la credibilità e la autorevolezza conquistate a duro prezzo. Assai giustificata era la preoccupazione di non farsi isolare e di non offrire pretesti alla repressione. Incombeva la guerra fredda con quanto essa comportava. Soprattutto le rivendicazioni e le lotte in campo sociale ed economiche preoccupavano, disturbavano e colpivano consolidati e forti interessi che reagivano in mille modi. I comunisti erano assai esposti a quelle reazioni. Fino all’estremo limite, toccato già nel settembre 1946, dell’uccisione, da parte di un agrario, del lavoratore Olimpio Puerari in una cascina di Scandolara Ravara nel corso di eventi sindacali. Iniziano dunque persecuzioni e disdette che culmineranno verso il ’48 e il ’49.
Ciò non toglie che i militanti supportino pienamente il partito in politiche di riconciliazione e ricostruzione del tessuto nazionale, a partire dal contributo determinante alle Istituzioni democratiche – i Comuni in primo luogo – e ad una Costituzione repubblicana condivisa ed innovatrice.
Il gruppo dirigente del PCI cremonese deriva in gran parte direttamente dalla lotta partigiana. Vi hanno partecipato i segretari provinciali che si susseguono dal periodo clandestino a questi primi anni dalla Liberazione: Sergio Marturano, Giuseppe Gaeta e Alessandro Vaia. Così tanti altri del Comitato Federale o comunque dirigenti come Dante Bernamonti, Arnaldo Bera, Davide Susani, Giulio Seniga, Guido Percudani, Enrico Fogliazza, Piero Borelli, Ada Salvagnini, Adriano Andrini, Roberto Ferretti e così via. Entrano naturalmente forze nuove e subito con importanti responsabilità: tra gli altri Giacomo Bergamonti, Franco Dolci, Mario Bardelli, Norma Sozzi, Renzo Antoniazzi, Giovanni Chiappani… sono i “quadri” promossi non tanto da itinerari burocratici ma dalle lotte sociali e politiche.
Al momento della conferenza di organizzazione che si tiene nell’ottobre 1946 gli iscritti sono saliti a 23.000 di cui 5.000 donne. La Federazione pubblicava il settimanale, molto diffuso e letto, “Lotta di popolo”.

(A cura di Giuseppe Azzoni)

1 – 1946: Una ANPI prestigiosa, unita ed attiva
2 – L’epurazione (dal tribunale del CLN all’amnistia)
3 – Nei Comuni si torna a libere elezioni (è anche il primo voto per le donne)
4 – Togliatti a Cremona (su repubblica, religione e voto alle donne)
5 – Lotte, miseria, speranze del maggio sulle pagine del “Fronte Democratico”
6 – Il confronto nella campagna per il referendum istituzionale e l’Assemblea costituente
7 – Quel 1946 della Repubblica e della Costituente
8 – 31 agosto 1946: 1° congresso della Camera del Lavoro dopo la Liberazione
9 – 31 agosto 1946: 1° congresso della Camera del Lavoro dopo la Liberazione – seconda parte
10 – La DC cremonese 70 anni fa
11 – La forza, i meriti e il travaglio del PSIUP

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